sabato 8 gennaio 2011

Articolo di Don Luca

Sono ormai tre anni, che l’ufficio di Pastorale Giovanile della nostra diocesi, propone nel tempo delle
vacanze di Natale, la possibilità di trascorrere alcuni giorni insieme, vivendo col nostro vescovo Italo
esperienze che ci facciano riflettere e incontrare testimoni di fede e di carità.
Così dopo Assisi e Loreto, quest’anno la nostra comitiva è arrivata a Torino.
La Chiesa di Torino è conosciuta per la Sindone, don Bosco, il Cottolengo,….e per il Sermig.
È proprio quest’ultima realtà che ha attirato in questi giorni la nostra attenzione.
Scopo del nostro stare insieme è stata la condivisione di un campo lavoro con altri 500 giovani provenienti
da tutta l’Italia per offrire il nostro tempo e le nostre energie a servizio dei più poveri e per conoscere la
storia di questo luogo che da vero e proprio Arsenale Militare è stato trasformato in un ARSENALE DI PACE.
Il Sermig nasce come movimento missionario della chiesa torinese ad opera di Ernesto Olivero, ma poi
grazie al coinvolgimento di molte persone e all’accoglienza provvidenziale delle necessità di molte persone
disagiate, si apre al servizio di chi ha bisogno diventando una vera e propria casa dei poveri.
È proprio il caso di dire che qui le pietre parlano, perché ciò che è accaduto alle mura di questo Arsenale
interroga e stimola ciascuno a fare quel cambiamento, quella conversione nel proprio cuore. Così non si
cerca solo la pace come cessazione delle ostilità internazionali, ma si cerca anche e forse soprattutto la
pace del cuore.
È questa pace che abbiamo intravisto nel volto di quei giovani consacrati che ci hanno accolto in questi
giorni: volti sereni di ragazzi e ragazze che lasciate tutte le certezze e le sicurezze di una vita comoda, hanno
deciso di restituire agli altri i propri doni… e la propria vita.
Dico restituire, perché la RESTITUZIONE è un cardine della spiritualità dell’Arsenale: essa consiste nel
lasciarsi interrogare su cosa trattengo per me e che cosa invece appartiene ad altri dal punto di vista
economico, dei doni personali, dal punto di vista spirituale…
In questo contesto ed in questo clima, anche noi ci siamo interrogati ed abbiamo svolto il nostro servizio.
Le nostre giornate sono state caratterizzate da semplicità ed impegno in parte dedicate ai servizi ed in parte
dedicate alla preghiera e alla riflessione.
Alcuni si sono buttati nel lavoro per le spedizioni umanitarie, altri hanno svolto il loro servizio nel
coinvolgimento dei ragazzi del quartiere (totalmente abitato da stranieri), altri ancora hanno lavorato duro
nella sistemazioni di alcuni ambienti fatiscenti, o nell’aiuto ai bambini del dopo scuola…
“In tutti questi lavori, ci è stato fatto notare, voi aiutate i poveri anche se non li vedete.”
Le riflessioni o “laboratori”, come venivano chiamati, hanno avuto lo scopo di interrogarci sulla
responsabilità che ciascuno ha nel cambiare il mondo in un mondo migliore.
Lo slogan di queste giornate lo possiamo ritrovare in una canzone che è diventata il “tormentone” del
Sermig: IO CI STO… CI METTO LA FACCIA, CI METTO LA TESTA, CI METTO IL MIO CUORE.
Mi gioco la vita!
Sentendo a caldo le sensazioni dei giovani che hanno partecipato, ho percepito al tempo stesso gioia e
fatica. La gioia dello stare insieme, del fare per gli altri, del pregare insieme, ma anche la fatica di vivere
sempre così, di tradurre nel quotidiano quanto vissuto in quattro giorni di servizio. Fatica anche nell’aver
fatto un’esperienza che non è stata comoda, divertente,… non siamo andati in gita come forse qualcuno si
attendeva!
Cogliendo le provocazioni emerse anche dal dialogo con Ernesto Olivero ritengo che la nostra scommessa
sui giovani sia duplice. Da una parte essi sono i più poveri, sono coloro che chiedono la nostra maggiore
attenzione e le nostre cure. Dall’altra sono però anche la risorsa più importante della società e della Chiesa
perché possono mettere la loro faccia, la loro testa, il loro cuore per vivere del Vangelo e secondo il
Vangelo.
All’inizio di questo nuovo anno l’augurio di PACE che accogliamo dall’esperienza al Sermig è proprio questa:
sentire la responsabilità e la possibilità di essere non spettatori, ma attori delle scene del mondo,
consapevoli che il mondo si cambia a partire da noi stessi e dal nostro “quartiere”.

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